Responsabilità 231 e reati agroalimentari: nel disegno di legge “Nuove norme in materia di illeciti agro-alimentari (A.C. 2427)” nuovi reati presupposto ma anche spunti per una compliance che genera valore
- Premessa
Il rilevante valore economico (ed identitario) del settore agroalimentare italiano ha portato il Governo, nell’anno di Expo Milano 2015, a nominare una “Commissione per l’elaborazione di proposte di intervento sulla riforma dei reati in materia agroalimentare”. Lo scopo era evidentemente quello di tutelare la produzione agroalimentare e i valori ad essa correlati come la salute pubblica, la sicurezza alimentare, il made in Italy.
La commissione, presieduta dal Dott. Gian Carlo Caselli, elaborò uno schema di disegno di legge che si articolava lungo tre direttrici: la modifica dei reati agroalimentari; la modifica della disciplina di settore; l’introduzione dei reati agroalimentari nel catalogo dei reati presupposto 231.
A cinque anni di distanza, il testo all’esame del Parlamento è attualmente quello compendiato nel DDL “Nuove norme in materia di illeciti agroalimentari (A.C. 2427)” presentato alla Camera dei Deputati il 6 marzo 2020.
- Le “imprese alimentari” destinatarie della riforma
La presa di coscienza dell’importanza che il settore agroalimentare riveste per il nostro Paese è vivamente presente nel DDL, il cui scopo dichiarato è garantire il massimo grado di tutela attraverso la responsabilizzazione delle imprese operanti nel settore e l’inclusione dei reati agroalimentari nel catalogo dei reati presupposto 231.
Dal punto di vista delle imprese, giova premettere che ciò che più impatta sotto il profilo della compliance 231 risiede nel dettato normativo dell’art. 6bis che verrebbe introdotto nel D. Lgs. 231/2001, recante una disciplina peculiare per il Modello 231 dell’ente qualificato come impresa alimentare secondo la definizione contenuta all’art. 3 Regolamento (CE) n. 178/2002.
L’art. 3 del citato Regolamento offre una definizione molto ampia di “impresa alimentare”, dovendosi intendere per tale “ogni soggetto pubblico o privato, con o senza fini di lucro, che svolge una qualsiasi delle attività connesse ad una delle fasi di produzione, trasformazione e distribuzione degli alimenti” (a prescindere, dunque, dalla forma giuridica rivestita): in forza di tale richiamo, la platea di soggetti destinatari della riforma diviene quindi piuttosto estesa.
- L’introduzione dei reati agroalimentari nel catalogo dei reati presupposto 231
Quanto al catalogo dei reati presupposto, la riforma introduce due nuovi articoli al D.Lgs. 231/01, contenenti in parte nuove fattispecie incriminatrici e in parte delitti già esistenti ma riformulati.
L’art. 25-bis.2, “Frodi nel commercio di prodotti alimentari” andrà ad annoverare come reati presupposto i delitti di cui agli articoli 517-sexies c.p. (Frode nel commercio di alimenti, punito con sanzione pecuniaria fino a 300 quote), 517-septies c.p. (“Commercio di alimenti con segni mendaci”, punito con sanzione pecuniaria fino a 300 quote), 517-quater c.p. (“Contraffazione di indicazioni geografiche o denominazioni di origine dei prodotti agroalimentari”, punito con sanzione pecuniaria da 100 a 400 quote), 517-quater.1 c.p. (“Agropirateria, punito con sanzione pecuniaria da 200 a 800 quote oltre alla possibilità di applicazione di sanzioni interdittive).
L’art. 25-bis.3 “Delitti contro la salute pubblica”, ricomprenderà invece il riformulato art. 439 c.p. (“Avvelenamento di acque o di alimenti”, punito con sanzione pecuniaria da 500 a 1000 quote oltre all’interdizione dall’esercizio dell’attività da 1 a 2 anni), l’art. 440 c.p. “Contaminazione, adulterazione o corruzione di acque, alimenti o medicinali”, punito con sanzione pecuniaria da 500 a 800 quote oltre all’interdizione dall’esercizio dell’attività da 1 a 2 anni, l’art. 440-bis c.p. (“Importazione, esportazione, commercio, trasporto, vendita o distribuzione di alimenti, medicinali o acque pericolosi”, punito con sanzione pecuniaria da 300 a 600 quote oltre all’interdizione dall’esercizio dell’attività da 6 mesi a 1 anno, l’art. 440-ter c.p. (“Omesso ritiro di alimenti, medicinali o acque pericolosi”, punito con sanzione pecuniaria fino a 300 quote oltre all’interdizione dall’esercizio dell’attività fino a 6 mesi), l’art. 440-quater c.p. (“Informazioni commerciali ingannevoli o pericolose”, punito con sanzione pecuniaria fino a 300 quote oltre all’interdizione dall’esercizio dell’attività fino a 6 mesi), l’art. 440-quater c.p. (“Informazioni commerciali ingannevoli o pericolose”, punito con sanzione pecuniaria fino a 300 quote oltre all’interdizione dall’esercizio dell’attività fino a 6 mesi), il nuovo delitto ex art. 445-bis c.p. (“Disastro Sanitario” punito con sanzione pecuniaria da 400 a 800 quote oltre all’interdizione dall’esercizio dell’attività da 1 a 2 anni) e infine le ipotesi colpose di cui all’art. 452 c.p., punite con sanzione pecuniaria fino a 300 quote oltre all’interdizione dall’esercizio dell’attività fino a 6 mesi.
- Un “doppio binario” di responsabilità per le imprese alimentari: il Modello organizzativo “speciale”
Ciò che, tuttavia, risulta più meritevole di attenzione è l’introduzione di un vero e proprio “doppio binario” di responsabilità per le imprese alimentari. Gli enti della filiera agroalimentare potranno adottare un Modello organizzativo esimente che fin dalla relazione introduttiva al DDL è stato qualificato come “speciale”.
Il connotato di “specialità” trae origine dalla disciplina specifica (contenuta all’art. 6bis) che il Legislatore riserva ai Modelli Organizzativi adottati dalle imprese agroalimentari, che si caratterizza per l’individuazione degli obblighi giuridici nazionali e sovranazionali il cui adempimento deve essere assicurato dal Modello affinchè esso abbia efficacia esimente (o attenuante) della responsabilità, secondo la lettera della legge relativi:
- a) al rispetto dei requisiti relativi alla fornitura di informazioni sugli alimenti;
- b) alle attività di verifica sui contenuti delle comunicazioni pubblicitarie al fine di garantire la coerenza degli stessi rispetto alle caratteristiche del prodotto;
- c) alle attività di vigilanza con riferimento alla rintracciabilità, ossia alla possibilità di ricostruire e di seguire il percorso di un prodotto alimentare attraverso tutte le fasi della produzione, della trasformazione e della distribuzione;
- d) alle attività di controllo sui prodotti alimentari, finalizzate a garantire la qualità, la sicurezza e l’integrità dei prodotti e delle loro confezioni in tutte le fasi della filiera;
- e) alle procedure di ritiro o di richiamo dei prodotti alimentari importati, prodotti, trasformati, lavorati o distribuiti non conformi ai requisiti di sicurezza degli alimenti;
- f) alle attività di valutazione e di gestione del rischio, compiendo adeguate scelte di prevenzione e di controllo;
- g) alle periodiche verifiche sull’effettività e sull’adeguatezza del modello.
Al di là da quanto richiesto alle lettere f) e g), che fanno riferimento a elementi già tipicamente presenti nei Modelli 231 “tradizionali”, la portata innovativa della riforma risiede nell’introduzione di obblighi specifici di compliance rispetto ad un ventaglio di leggi speciali interne ed europee. Le normative cui fa implicitamente rinvio il nuovo art. 6bis attengono, da una parte, a obblighi a tutela dell’interesse dei consumatori (lett. a e b) e, dall’altra, a obblighi a protezione della genuinità e sicurezza degli alimenti (lett. c, d ed e). Quanto alla precisa identificazione delle stesse, occorre rilevare che in taluni casi si tratta di norme di ampia applicazione quali il Reg. (UE) n. 1169/2011 circa le pratiche leali di informazione, o il Reg. (CE) n. 178/2002 sulla rintracciabilità della filiera agroalimentare cui si aggiungono le normative specifiche di ciascun settore merceologico.
Il DDL individua altresì, i requisiti minimi essenziali del Modello “speciale” e lo fa attingendo a piene mani dalla disciplina del Modello previsto dall’art. 30 D.Lgs. 81/08 (Testo Unico in materia di salute e sicurezza sui luoghi di lavoro).
Viene, infatti, previsto che i Modelli delle imprese agroalimentari debbano in ogni caso:
- a) prevedere idonei sistemi di registrazione dell’avvenuta effettuazione delle attività ivi prescritte;
- b) prevedere un’articolazione di funzioni che assicuri le competenze tecniche e i poteri necessari per la verifica, la valutazione, la gestione e il controllo del rischio, nonché un sistema disciplinare idoneo a sanzionare il mancato rispetto delle misure indicate nel modello;
- c) prevedere un idoneo sistema di vigilanza e di controllo sull’attuazione del modello e sul mantenimento nel tempo delle condizioni di idoneità delle misure adottate. Viene, inoltre, specificato che iI riesame e l’eventuale modifica del modello organizzativo devono essere adottati quando siano scoperte violazioni significative delle norme relative alla genuinità e alla sicurezza dei prodotti alimentari o alla lealtà commerciale nei confronti dei consumatori ovvero in occasione di mutamenti nell’organizzazione e nell’attività in relazione al progresso scientifico e tecnologico.
Come è evidente, si tratta di elementi che, sebbene solo in parte presenti nei requisiti del Modello ex art. 6 D. Lgs. 231/01 sono comunque già ampiamente previsti dalle best practices in ambito 231 perché in grado di coniugare gli obiettivi di risk management con quelli di miglioramento dell’organizzazione aziendale.
- Un “doppio binario” di responsabilità per le imprese alimentari: contorni applicativi
Il progetto di riforma contiene significative modifiche anche sotto il profilo dei soggetti attivi dell’illecito 231: il richiamo effettuato nell’incipit dell’art. 6bis, che fa rinvio al solo articolo 6 del D. Lgs. 231/01 – che regola l’esenzione da responsabilità dell’ente nel caso in cui il reato presupposto sia commesso da soggetto che riveste ruolo “apicale” – e non anche all’art. 7 – che regola l’esenzione da responsabilità dell’ente nel caso in cui il reato presupposto sia commesso da un “sottoposto” – sembra restringere l’ambito di azione del nuovo Modello ai soli reati commessi da soggetti che rivestono funzioni di rappresentanza, amministrazione o direzione. Le ragioni di tale limitazione non sono chiare. La scelta appare peraltro del tutto incoerente rispetto alla spinta estensiva della responsabilità amministrativa da reato che, grazie al DDL in parola viene estesa a nove nuove fattispecie incriminatrici cui si aggiungono le ulteriori fattispecie colpose indicate dall’art. 452 c.p. (per inciso, le prime fattispecie colpose ad essere introdotte a seguito di quelle in materia di salute e sicurezza sul lavoro di cui all’art. 25septies D. Lgs. 231/01).
Ulteriore elemento che merita considerazione (soprattutto in un’ottica di efficace gestione del rischio penale d’impresa), è che la riforma affianca all’efficacia esimente del Modello speciale una inedita efficacia “attenuante”. Il contenuto e la portata di tale attenuante (nonché i contorni applicativi rispetto all’efficacia esimente ed alla riduzione della sanzione pecuniaria in caso di adozione del Modello post factum) non sono meglio definiti dal Legislatore e pertanto saranno la prassi e la giurisprudenza a connotarle di significato.
Altra innovazione di significativa portata è quella prevista dal comma 3, il quale prevede che nelle PMI l’Organismo di Vigilanza possa essere monocratico “purchè dotato di adeguata professionalità e specifica competenza anche nel settore alimentare” e individuato da un apposito elenco approntato dalle Camere di Commercio: il che costituisce un elemento di novità rispetto al passato, in quanto la professionalità dei membri degli OdV non era mai stata specificamente individuata.
- Ulteriori novità della riforma: la delega di funzioni in materia agroalimentare
Il progetto di riforma in commento si prefigge anche l’apprezzabile obiettivo di disciplinare la delega di funzioni in materia agroalimentare.
Per quel che interessa in questa sede, si rivolge l’attenzione alle condizioni di ammissibilità della delega delineate dall’art. 1bis che verrà introdotto nella L. 283/1962, per le quali il Legislatore sembra attingere a piene mani da quanto prescritto dall’art. 16 D.Lgs. 81/08 (regolante la delega di funzioni in materia di salute e sicurezza sul lavoro).
In particolare, la delega di funzioni del titolare dell’impresa alimentare, per essere idonea a trasferire poteri ma soprattutto (per quel che interessa alla materia penale) responsabilità, dovrà:
- a) risultare da atto scritto avente data certa;
- b) individuare un delegato dotato di requisiti di professionalità ed esperienza adeguati per le funzioni delegate;
- c) attribuire, insieme alla responsabilità, poteri organizzativi e gestori;
- d) garantire al delegato autonomia di spesa per lo svolgimento della delega;
- e) essere accettata per iscritto dal delegato.
E’ noto come la delega di funzioni costituisca uno strumento importante non solo dal punto di vista dell’ottimizzazione organizzativa dell’attività di impresa, bensì anche dal punto di vista della tutela da responsabilità penale “da posizione”: in tale contesto, le condizioni di ammissibilità della delega individuate dalla riforma, sebbene non circostanziate, assumono significativa rilevanza (se sapientemente adattate alle peculiarità strutturali dell’impresa) poiché forniscono i criteri orientativi per formalizzare una delega efficace.
Inoltre, pare opportuno evidenziare la correlazione stabilita tra la delega di funzioni e il Modello organizzativo: il Legislatore, dopo aver ribadito il consolidato principio per cui “la delega di funzioni non esclude l’obbligo di vigilanza a carico del titolare in ordine al corretto svolgimento delle funzioni trasferite da parte del delegato”, chiarisce che “l’obbligo di cui al primo periodo si intende assolto in caso di adozione ed efficace attuazione del modello di organizzazione e gestione ai sensi dell’articolo 6-bis del decreto legislativo 8 giugno 2001, n. 231.”: dunque, la predisposizione di una buona organizzazione sembra spiegare effetti positivi anche con riguardo all’efficacia della delega di funzioni.
- Conclusioni
La riforma dei reati agroalimentari si presenta come una vera e propria rivoluzione copernicana per le imprese del settore, e non vi è dubbio che l’intervento del Legislatore ponga a carico di tali soggetti economici oneri significativi dal punto di vista dell’adeguamento normativo. Allo stesso tempo, tuttavia, è essenziale saper cogliere gli spunti offerti dalla riforma anche, se necessario, rimettendo mano all’organizzazione dell’impresa per giungere ad una piena integrazione della compliance e convertire così gli sforzi profusi in un vantaggio competitivo e reputazionale.
Alberto Bernardi
Avvocato del Foro di Bologna