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L’aggiornamento del Modello Organizzativo alla luce dell’introduzione dei reati di contrabbando nel D.Lgs. 231/01

L’introduzione dei reati di contrabbando nel novero dei reati presupposto della responsabilità amministrativa degli enti ex D. Lgs. 231/2001: un intervento di riforma da non sottovalutare

 

  1. Quadro normativo di riferimento

Oltre ai “tanto attesi” reati tributari, il Decreto Legislativo 14 luglio 2020, n. 75 – di attuazione della direttiva UE relativa alla lotta contro la frode che lede gli interessi finanziari dell’Unione Europea mediante il diritto penale (c.d. “direttiva PIF”) – ha introdotto ulteriori fattispecie nel novero dei reati presupposto della responsabilità degli enti ex D. Lgs. 231/2001 (di seguito, per brevità, anche “Decreto 231”) altrettanto meritevoli di attenzione, come i reati di contrabbando di cui all’art. 25sexiesdecies.

Il tema è tutt’altro che marginale per la dimensione internazionale che hanno assunto gli scambi commerciali  negli ultimi decenni e per il costante incremento del fenomeno di outsourcing (parziale o totale) dei processi produttivi: pertanto, le imprese con operatività orientata a paesi extra-UE dovranno prestare particolare attenzione alla materia e porre in essere le misure di adeguamento necessarie, provvedendo ad aggiornare il Modello 231 (o ad adottarlo qualora non abbiano già provveduto) e a introdurre presidi specifici volti a evitare la commissione di illeciti di contrabbando nel compimento delle operazioni doganali.

L’adeguamento si presenta a prima vista non agevole, soprattutto per il quadro normativo articolato: oltre (evidentemente) al D. Lgs. 231/2001, le azioni da porre in essere, finalizzate ad assicurare la conformità, dovranno essere orientate (principalmente) ai seguenti parametri normativi:

  • D.p.r. 43/1973 (Testo Unico delle disposizioni legislative in materia doganale; di seguito, per brevità, anche “TULD”)
  • reg. UE n. 952/2013 (che istituisce il Codice Doganale dell’Unione Europea; di seguito, per brevità, anche “CDUE”);
  • D. Lgs. 374/90 (Riordinamento degli istituti doganali e revisione delle procedure di accertamento e controllo nell’ambito di immissione in libera pratica delle merci e di esportazione delle merci comunitarie)

Il tema si caratterizza per una stretta connessione tra diritto interno e diritto sovranazionale; infatti, sebbene la legiferazione in materia penale costituisca (attualmente) una prerogativa dei singoli stati membri dell’Unione Europea, a seguito dell’abbattimento dei dazi doganali negli scambi infra-UE e dell’istituzione della tariffa doganale comune, il gettito derivante dai dazi doganali è divenuto risorsa dell’UE, e, in quanto tale, necessita di una azione coordinata tra gli stati membri per essere tutelato.

La direttiva PIF si prefigge, per l’appunto, l’obiettivo di rendere quanto più omogenea possibile  la risposta sanzionatoria al fenomeno del contrabbando  – conformemente a quanto previsto dall’art. 83 TFUE (Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea), che consente a Parlamento Europeo e Consiglio di adottare direttive che stabiliscono norme minime relative alla definizione dei reati per materie che devono essere trattate su basi comuni per la loro rilevanza transnazionale – ; l’armonizzazione in materia è principalmente perseguita dal CDUE,  che si applica uniformemente a tutti i Paesi ed ai quali è demandato il rispetto della normativa  mediante l’applicazione di sanzioni che siano effettive, proporzionate, dissuasive (art. 42 CDUE).

 

  1. Illeciti in materia di contrabbando: individuazione dell’area di rilevanza penale

Nell’ordinamento italiano, il contrasto al fenomeno del contrabbando mediante lo strumento penale è esercitato attraverso i reati previsti nel TULD; detti reati sono richiamati “in blocco” dall’art. 25sexiesdecies del Decreto 231: ne discende che il risk assessment propedeutico all’aggiornamento (qualora necessario) dei Modelli 231 delle società dovrà essere orientato a tutti i reati ivi previsti.

Procedendo con ordine, appare utile, anzitutto, dare conto del trattamento sanzionatorio che può essere inflitto all’impresa in caso di commissione di un reato in materia di contrabbando nello svolgimento dell’attività (e di accertamento della sussistenza degli elementi costitutivi della responsabilità ex D. Lgs. 231/2001).

L’art. 25sexiesdecies suddivide il trattamento sanzionatorio in due “fasce” di gravità e prevede:

  • l’inflizione di una sanzione pecuniaria fino a 200 quote qualora l’ammontare dei diritti di confine non corrisposti sia pari o inferiore a 100.000,00 euro;
  • l’inflizione di una sanzione pecuniaria fino a 400 quote qualora l’ammontare dei diritti di confine non corrisposti sia superiore a 100.000,00 euro.

Inoltre, a prescindere dall’ammontare dei diritti di confine “evasi”, è prevista l’applicazione delle sanzioni interdittive del divieto di contrattare con la pubblica amministrazione; dell’esclusione da agevolazioni, finanziamenti, contributi o sussidi e del divieto di pubblicizzare beni o servizi.

Per evitare di incorrere nelle suddette sanzioni, nel caso in cui l’impresa intrattenga rapporti commerciali con paesi extra-UE, risulterà, dunque, opportuno aggiornare il Modello Organizzativo 231 con presidi specifici volti a minimizzare il rischio di commissione degli illeciti in materia di contrabbando.

L’importanza dell’aggiornamento del Modello Organizzativo è evidente se solo si considera il peculiare sistema di responsabilità delle persone giuridiche delineato dal Decreto 231: ad esempio, sotto il profilo dei meccanismi estintivi di responsabilità, si consideri che, nel caso in cui venga commesso un illecito, sebbene l’art. 334 del TULD preveda la possibilità – per i delitti di contrabbando puniti con la sola pena della multa – di estinguere il reato mediante il pagamento del tributo dovuto e di una somma non inferiore al doppio e non superiore al decuplo del tributo stesso, l’estinzione non opererebbe con riguardo alla responsabilità della persona giuridica in forza dell’art. 8, comma 1, lett. b) del D.Lgs. 231/01, che dispone che la responsabilità dell’ente sussiste anche quando il reato si estingue per una causa diversa dall’amnistia.

Allo scopo di fornire alcuni sommari criteri orientativi nella gestione del rischio di commissione dei reati in materia di contrabbando risulta utile, anzitutto, circoscrivere l’area di penale rilevanza rispetto agli illeciti amministrativi (che non costituiscono presupposto per la responsabilità ex D. Lgs. 231/01).

A questo proposito, occorre indugiare brevemente sugli effetti prodotti a seguito dell’entrata in vigore del Decreto Legislativo 8/2016: detto decreto aveva operato una depenalizzazione “generale” di tutti i reati dell’ordinamento puniti con la sola sanzione pecuniaria della multa e dell’ammenda, tra i quali rientravano molti dei reati previsti dal TULD.

Senonché, ad estendere nuovamente l’area di penale rilevanza è intervenuto l’art. 4 del D. Lgs. 75/2020, che modifica l’art. 1, comma 4 del D. Lgs. 8/2016 e introduce i reati di cui al Testo Unico in materia doganale tra quelli ai quali non deve essere applicata la depenalizzazione, a condizione che l’ammontare dei diritti di confine non corrisposti sia superiore a 10.000,00 euro: con la conseguenza che, al di sotto di tale soglia, la condotta configurerà un illecito amministrativo non idoneo a costituire presupposto per muovere una contestazione anche alla persona giuridica.

Di fatto, dunque, risulta innalzata la soglia già prevista dall’art. 295bis TULD pari a Lire 7.745.000 (all’incirca 4.000,00 euro) al di sotto della quale il mancato pagamento del diritto di confine veniva punito con sanzione amministrativa pecuniaria.

In concreto possono quindi considerarsi quali reati presupposto tutti i reati previsti dal TULD (qualora l’ammontare dei diritti di confine non corrisposti superi i diecimila euro) e, segnatamente:

a. il reato di contrabbando nel movimento delle merci attraverso i confini di terra e gli spazi doganali (art. 282);

b. il reato di contrabbando nel movimento delle merci nei laghi di confine (art. 283);

c. il reato di contrabbando nel movimento marittimo delle merci (art. 284);

d. il reato di contrabbando nel movimento delle merci per via aerea (art. 285);

e. il reato di contrabbando nelle zone extra-doganali (art. 286);

f. il reato di contrabbando per indebito uso di merci importate con agevolazioni doganali (art. 287);

g. il reato di contrabbando nei depositi doganali (art. 288);

h. il reato di contrabbando nel cabotaggio e nella circolazione (art. 289);

i. il reato di contrabbando nell’esportazione di merci ammesse a restituzione di diritti (art. 290);

j. il reato di contrabbando nell’importazione od esportazione temporanea (art. 291);

k. il reato di contrabbando di tabacchi lavorati esteri (art. 291bis)

l. il reato di associazione per delinquere finalizzata al contrabbando di tabacchi lavorati esteri (art. 291quater)

(Con riferimento alla associazione per delinquere finalizzata al contrabbando di tabacchi lavorati esteri, si precisa che tale fattispecie era già ricompresa nel novero dei reati presupposto 231 a condizione che essa assumesse carattere “transnazionale” secondo la definizione fornita dall’art. 3, l. 146/2006; a seguito dell’entrata in vigore del d. lgs. 75/2020, per effetto del semplice richiamo dell’art 25sexiesdecies, il reato può considerarsi presupposto per la contestazione anche in assenza della connotazione di “transnazionalità”)

m. tutte le altre ipotesi che residuano al di fuori di quelle sopra elencate, secondo quanto previsto dal disposto dell’art. 292 (“altri casi di contrabbando”)

Avendo riguardo ai reati sopra elencati è possibile individuare un nucleo materiale comune, consistente in una condotta posta in essere in violazione di un’obbligazione doganale, definita dall’art. 5 CDUE come l’obbligo di una persona di corrispondere l’importo del dazio all’importazione o all’esportazione applicabile a una determinata merce in virtù della normativa doganale in vigore.

Tradizionalmente, le condotte di contrabbando vengono suddivise in due tipologie che si distinguono a seconda della modalità di commissione: il contrabbando extraispettivo, che si verifica qualora si tenti di sottrarre la merce all’imposizione doganale mediante elusione “materiale” dei controlli dell’autorità doganale (occultamento della merce; passaggio della linea di confine in punti diversi da quelli prescritti); il contrabbando intraispettivo, che si verifica qualora la merce venga sottoposta alle procedure di controllo ma dichiarando dati falsi o errati  relativi alla merce (ad esempio quantità, qualità, origine, destinazione, ecc.) al fine di non corrispondere o corrispondere in somma inferiore i dazi doganali.

Nel prosieguo del commento ci si focalizzerà principalmente sugli elementi di rischio-reato afferenti alle operazioni di introduzioni di merci estere nel territorio doganale UE dal punto di vista del soggetto importatore quale soggetto obbligato a corrispondere i dazi doganali, in quanto situazione più ricorrente e più conforme agli elementi tipici delle fattispecie richiamate dall’art. 25sexiesdecies del Decreto 231.

 

  1. Principali situazioni a “rischio-reato” nel processo di accertamento doganale

Nel contesto delle operazioni connesse all’importazione di merci estere, di particolare importanza è il processo attinente alla trasmissione all’autorità doganale della dichiarazione doganale, sulla cui base la medesima autorità liquida gli oneri doganali dovuti tramite l’emissione della bolletta doganale di importazione.

Più in particolare, la dichiarazione doganale è la manifestazione di volontà diretta a vincolare le merci ad uno specifico regime doganale, mediante l’indicazione degli elementi determinanti in tal senso (ed indicati dall’art. 4 del d. Lgs. 374/90, tra i quali figurano “la descrizione delle merci con l’indicazione della posizione di tariffa, della qualità, della quantità’, del valore e di ogni altro elemento occorrente per la liquidazione dei diritti”)

Risulta, quindi, piuttosto intuitivo comprendere come una corretta gestione del processo di formazione, compilazione e trasmissione del documento in questione sia essenziale in un’ottica di minimizzazione del rischio di commissione dei reati in materia di contrabbando.

L’importanza della dichiarazione doganale si evince anche dalla circostanza che è in base all’incrocio dei dati in essa contenuti da parte dei sistemi informatizzati di valutazione del rischio in uso alle autorità doganali che vengono determinati i successivi (eventuali) controlli da compiersi sull’operazione doganale (controllo documentale; controllo sulle merci; ecc.)

Nel contesto di adozione dei presidi volti alla minimizzazione del rischio va precisato che tutti i reati previsti dal TULD sono puniti a titolo di dolo: pertanto, la compilazione errata della dichiarazione dovuta ad un atteggiamento negligente o colposo, sebbene integrativa di un illecito, non potrà costituire il presupposto per muovere una contestazione anche all’ente ex D. Lgs. 231/2001.

Tra le varie informazioni contenute nella dichiarazione doganale, di particolare importanza è il codice doganale, una sequenza numerica che consente il riconoscimento internazionale della categoria merceologica del prodotto e la determinazione della tariffa da applicare: ai fini di contenimento del rischio, appare utile ricorrere allo strumento della Informazione Tariffaria Vincolante, che consiste nell’attribuzione da parte della stessa autorità doganale (su richiesta dell’operatore economico interessato) della corretta classificazione del prodotto, che vale come “certificazione di correttezza” del codice attribuito e gode di efficacia giuridica su tutto il territorio dell’Unione.

Il soggetto che presenta la dichiarazione (c.d. dichiarante) può non coincidere (come spesso accade) con il proprietario della merce; lo stesso incombente può essere adempiuto da un soggetto munito di poteri di rappresentanza, che nella maggioranza dei casi è lo spedizioniere doganale: in tale contesto, rileva particolarmente il controllo sulla corretta compilazione del documento, ancor più se si considera che, dal punto di vista soggettivo, i reati in materia di contrabbando, in quanto per la maggior parte reati comuni, possono essere commessi da chiunque; inoltre, l’indicazione di elementi errati nella dichiarazione da parte di un rappresentante non osterebbe neppure alla contestazione alla società della responsabilità  ex D. Lgs. 231/2001, in quanto gli effetti della condotta sarebbero direttamente riconducibili all’ente e (soprattutto) suscettibili di procurare un vantaggio.

Si è già detto come a seguito della presentazione della dichiarazione doganale all’autorità, quest’ultima emette la bolletta doganale, nella quale vengono determinati gli oneri doganali dovuti: la giurisprudenza (Cass. Civ., Sez. VI, ord. n. 16676/2019) qualifica la bolletta doganale come atto pubblico avente fede privilegiata, con la conseguenza che, in caso di inserimento volontario di dati errati, colui che compila la dichiarazione risponderà, oltre che dei reati in materia di contrabbando, del reato di cui all’art. 479 c.p. (falsità ideologica commessa dal pubblico ufficiale in atti pubblici) per avere indotto (art. 48 c.p.) il pubblico ufficiale a formare un atto pubblico ideologicamente falso; il concorso di entrambi i reati, peraltro, integra la circostanza aggravante di cui all’art. 295 TULD, con conseguente applicazione della pena della reclusione da tre a cinque anni.

Il controllo da parte dell’impresa deve essere esercitato anche nella fase successiva all’emissione della bolletta doganale: ad esempio, nel caso in cui ci si avveda di errori nella compilazione della dichiarazione, risulterà utile esperire la procedura di revisione dell’accertamento doganale, che consente all’operatore di rendersi parte attiva nella correzione dell’errore della dichiarazione (il che escluderebbe il dolo tipico dei reati in materia di contrabbando).

Ancora, dovrà essere prestata particolare attenzione alla corretta tenuta della documentazione inerente alle operazioni doganali (bolletta doganale e documenti accessori quali fattura commerciale, packing list, ecc.), in quanto l’art. 51 CDUE prescrive l’obbligo di conservazione sino a tre anni dall’operazione per consentire alle autorità doganali di effettuare accertamenti. (Ai fini dei controlli doganali la persona interessata conserva i documenti e le informazioni di cui all’articolo 15, paragrafo 1, per almeno tre anni, su qualsiasi supporto accessibile alle autorità doganali e per esse accettabile.)

 

  1. Rapporti con lo spedizioniere doganale e aspetti rilevanti sotto il profilo di compliance 231

Nel contesto del commercio internazionale, un ruolo di indubbia rilevanza è esercitato dallo spedizioniere doganale, quale soggetto che nella maggioranza dei casi, compie materialmente le operazioni doganali connesse all’importazione della merce.

Il contratto di spedizione, regolato dagli artt. 1737 ss. del codice civile, si caratterizza poiché oltre ad assicurare al mandante l’adempimento delle obbligazioni inerenti al trasporto, obbliga il mandatario all’adempimento di ulteriori obbligazioni accessorie, tra le quali rientra anche l’espletamento delle formalità doganali.

Pertanto, nel contesto di adozione di presidi atti ad evitare la commissione di reati di contrabbando, anche l’eventuale rapporto con lo spedizioniere doganale dovrà essere attentamente monitorato.

Si è già detto come, dal punto di vista formale, nulla osta alla attribuibilità soggettiva del reato allo spedizioniere; la scissione della responsabilità di quest’ultimo rispetto al soggetto importatore rimane confinata a un’ipotesi piuttosto astratta, poiché nella maggioranza dei casi vi è un flusso di informazioni connesso all’espletamento delle formalità doganali tra impresa e spedizioniere (il soggetto importatore comunica le informazioni necessarie da inserire nella dichiarazione doganale; lo spedizioniere trasmette una pre-bolla all’importatore nella quale anticipa i dati che verranno inseriti nella dichiarazione doganale), con la conseguenza che l’impresa difficilmente potrà invocare una estraneità rispetto alla commissione dell’illecito.

Anche ragionando sull’ipotesi di comunicazione di dati falsi o errati da attribuirsi al solo spedizioniere, risulta difficile ipotizzare che l’impresa possa essere esonerata da una contestazione di responsabilità ai sensi del D. Lgs. 231/2001: in primo luogo, poiché è indubbio il vantaggio che ne deriverebbe all’impresa; in secondo luogo, poiché, ragionando in termini di criteri soggettivi di attribuzione della responsabilità ex D. Lgs. 231/2001, sarebbe agevole individuare una colpa da organizzazione per non aver apportato gli opportuni presidi volti al contenimento dell’illecito.

Le opportunità di gestire il rapporto con lo spedizioniere al fine di non incorrere nella commissione di illeciti risultano diversificate. A titolo di esempio si consideri:

  • nella fase di selezione dello spedizioniere a cui affidarsi, il compimento di adeguate verifiche sulla onorabilità commerciale e professionale e sul possesso dei requisiti necessari (iscrizione all’apposito albo; possesso dei documenti abilitativi, ecc.)
  • l’inserimento di una “clausola 231” nel contratto di spedizione (nella quale si richiede l’osservanza dei principi comportamentali contenuti nel Modello della società)
  • il controllo sulla correttezza dei dati da inserire nella dichiarazione comunicati allo spedizioniere (e l’adeguata formazione del personale all’uopo incaricato)
  • il controllo sulla corretta compilazione da parte dello spedizioniere preventiva alla trasmissione della dichiarazione
  • il controllo sulla bolletta doganale successivamente rilasciata dall’autorità
  • l’eventuale esperimento successivo della procedura di revisione dell’accertamento doganale.
 
  1. Lo status di AEO (Authorized Economic Operator)

Lo status di AEO (=Authorized Economic Operator/Operatore Economico Autorizzato) è un riconoscimento attribuito a soggetti che operano nel commercio internazionale, che attesta il possesso di requisiti di particolare affidabilità nei rapporti con le autorità doganali.

Esso si sostanzia in una autorizzazione al compimento di operazioni doganali in modalità agevolata, rilasciata dalla stessa autorità doganale e sottoposta a monitoraggio costante per verificarne la permanenza dei requisiti; detta autorizzazione è disciplinata dal Codice Doganale UE – con conseguente mutuo riconoscimento di validità tra operatori stabiliti in diversi stati membri-, e si distingue in due tipologie (tra loro cumulabili):

  • AEO C (semplificazioni doganali), che attiene alla affidabilità fiscale/doganale e consente all’operatore economico che ne è in possesso di beneficiare di particolari agevolazioni nel compimento delle operazioni di sdoganamento
  • AEO S (sicurezza) – che attiene alla affidabilità nell’ambito della gestione delle merci e consente all’operatore che ne è in possesso di ottenere agevolazioni nei controlli  in materia di sicurezza

L’art. 39 del CDUE specifica i requisiti che l’operatore deve possedere al fine di poter accedere alle autorizzazioni:

  •  assenza di violazioni gravi o ripetute della normativa doganale e fiscale, compresa l’assenza di trascorsi di reati gravi in relazione all’attività economica del richiedente;
  • dimostrazione, da parte del richiedente, di un alto livello di controllo sulle sue operazioni e sul flusso di merci, mediante un sistema di gestione delle scritture commerciali e, se del caso, di quelle relative ai trasporti, che consenta adeguati controlli doganali;
  •  solvibilità finanziaria, che si considera comprovata se il richiedente si trova in una situazione finanziaria sana, che gli consente di adempiere ai propri impegni, tenendo in debita considerazione le caratteristiche del tipo di attività commerciale interessata;
  •  con riguardo all’AEOC, il rispetto di standard pratici di competenza o qualifiche professionali direttamente connesse all’attività svolta;
  • con riguardo all’AEOS, l’esistenza di adeguati standard di sicurezza, che si considerano rispettati se il richiedente dimostra di disporre di misure idonee a garantire la sicurezza della catena internazionale di approvvigionamento anche per quanto riguarda l’integrità fisica e i controlli degli accessi, i processi logistici e le manipolazioni di specifici tipi di merci, il personale e l’individuazione dei partner commerciali.

E’ di tutta evidenza come in un momento storico connotato dalla progressiva diffusione di criteri internazionali di compliance (si pensi, ad esempio, agli standards ISO) e dall’importanza del possesso di “certificazioni” che attestino l’adeguamento agli standards, il possesso delle autorizzazioni AEO da parte delle imprese operanti nel commercio internazionale comporti indubbi benefici, non solo dal punto di vista formale, bensì dal punto di vista sostanziale, in termini di speditezza dei traffici per le agevolazioni che ne derivano (accesso facilitato alle semplificazioni doganali; riduzioni dei controlli; possibilità di selezionare un luogo specifico per il controllo doganale, ecc)

 

  1. L’importanza dell’aggiornamento del Modello 231: le principali azioni da intraprendere per il contenimento del rischio di commissione dei reati in materia di contrabbando

Riassumendo, alla luce dell’introduzione dell’art. 25sexiesdecies nel D. Lgs. 231/2001, nel caso in cui una società intrattenga scambi commerciali con paesi extra-UE, risulta essenziale procedere con l’aggiornamento del Modello Organizzativo 231 mediante adozione di specifici presidi volti a contenere il rischio di commissione di reati in materia di contrabbando.

In via esemplificativa (e non esaustiva) si indicano le principali azioni che si ritiene debbano essere intraprese:

  • assicurare una efficace razionalizzazione dei processi inerenti alle operazioni commerciali (acquisti/vendite) mediante l’adozione o l’aggiornamento di procedure che regolino specificamente i rapporti commerciali con operatori extra-UE
  • compiere una accurata selezione dei partners commerciali extra-UE in termini di onorabilità, affidabilità commerciale e professionale
  • assicurare la segregazione di funzioni nel processo di gestione delle operazioni doganali
  • impartire una adeguata formazione al personale impiegato nelle aree a rischio 
  • individuare specificamente i soggetti autorizzati a intrattenere rapporti con le autorità doganali (tra soggetti in possesso di adeguata formazione in materia)
  • nel caso in cui ci si avvalga dell’opera di spedizionieri doganali o vettori, monitorare adeguatamente tutte le fasi del rapporto contrattuale (vedasi paragrafo 4)
  • conservare correttamente la documentazione inerente al compimento delle operazioni doganali
  • nominare un responsabile della tenuta della documentazione

Infine, in considerazione dei numerosi contatti con pubblici ufficiali e incaricati di pubblico servizio che implica necessariamente la gestione delle operazioni doganali, si ritiene debba essere eseguito un opportuno intervento di coordinamento e armonizzazione con i presidi del Modello 231 finalizzati alla prevenzione dei reati contro la Pubblica Amministrazione.

 

Arianna Bassi

Avvocato del Foro di Bologna

 

 

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Responsabilità 231 e nuovi reati agroalimentari: spunti per una compliance che genera valore

Responsabilità 231 e reati agroalimentari: nel disegno di legge “Nuove norme in materia di illeciti agro-alimentari (A.C. 2427)” nuovi reati presupposto ma anche spunti per una compliance che genera valore

 

  1. Premessa

Il rilevante valore economico (ed identitario) del settore agroalimentare italiano ha portato il Governo, nell’anno di Expo Milano 2015, a nominare una “Commissione per l’elaborazione di proposte di intervento sulla riforma dei reati in materia agroalimentare”. Lo scopo era evidentemente quello di tutelare la produzione agroalimentare e i valori ad essa correlati come la salute pubblica, la sicurezza alimentare, il made in Italy.

La commissione, presieduta dal Dott. Gian Carlo Caselli, elaborò uno schema di disegno di legge che si articolava lungo tre direttrici: la modifica dei reati agroalimentari; la modifica della disciplina di settore; l’introduzione dei reati agroalimentari nel catalogo dei reati presupposto 231.

A cinque anni di distanza, il testo all’esame del Parlamento è attualmente quello compendiato nel DDL “Nuove norme in materia di illeciti agroalimentari (A.C. 2427) presentato alla Camera dei Deputati il 6 marzo 2020. 

  1. Le “imprese alimentari” destinatarie della riforma

La presa di coscienza dell’importanza che il settore agroalimentare riveste per il nostro Paese è vivamente presente nel DDL, il cui scopo dichiarato è garantire il massimo grado di tutela attraverso la responsabilizzazione delle imprese operanti nel settore e l’inclusione dei reati agroalimentari nel catalogo dei reati presupposto 231.

Dal punto di vista delle imprese, giova premettere che ciò che più impatta sotto il profilo della compliance 231 risiede nel dettato normativo dell’art. 6bis che verrebbe introdotto nel D. Lgs. 231/2001, recante una disciplina peculiare per il Modello 231 dell’ente qualificato come impresa alimentare secondo la definizione contenuta all’art. 3 Regolamento (CE) n. 178/2002.

L’art. 3 del citato Regolamento offre una definizione molto ampia di “impresa alimentare”, dovendosi intendere per tale “ogni soggetto pubblico o privato, con o senza fini di lucro, che svolge una qualsiasi delle attività connesse ad una delle fasi di produzione, trasformazione e distribuzione degli alimenti” (a prescindere, dunque, dalla forma giuridica rivestita): in forza di tale richiamo, la platea di soggetti destinatari della riforma diviene quindi piuttosto estesa.

  1. L’introduzione dei reati agroalimentari nel catalogo dei reati presupposto 231

Quanto al catalogo dei reati presupposto, la riforma introduce due nuovi articoli al D.Lgs. 231/01, contenenti in parte nuove fattispecie incriminatrici e in parte delitti già esistenti ma riformulati.

L’art. 25-bis.2, “Frodi nel commercio di prodotti alimentari” andrà ad annoverare come reati presupposto i delitti di cui agli articoli 517-sexies c.p. (Frode nel commercio di alimenti, punito con sanzione pecuniaria fino a 300 quote), 517-septies c.p. (“Commercio di alimenti con segni mendaci”, punito con sanzione pecuniaria fino a 300 quote), 517-quater c.p. (“Contraffazione di indicazioni geografiche o denominazioni di origine dei prodotti agroalimentari”, punito con sanzione pecuniaria da 100 a 400 quote), 517-quater.1 c.p. (“Agropirateria, punito con sanzione pecuniaria da 200 a 800 quote oltre alla possibilità di applicazione di sanzioni interdittive).

L’art. 25-bis.3 “Delitti contro la salute pubblica”, ricomprenderà invece il riformulato art. 439 c.p. (“Avvelenamento di acque o di alimenti”, punito con sanzione pecuniaria da 500 a 1000 quote oltre all’interdizione dall’esercizio dell’attività da 1 a 2 anni), l’art. 440 c.p. “Contaminazione, adulterazione o corruzione di acque, alimenti o medicinali”, punito con sanzione pecuniaria da 500 a 800 quote oltre all’interdizione dall’esercizio dell’attività da 1 a 2 anni, l’art. 440-bis c.p. (“Importazione, esportazione, commercio, trasporto, vendita o distribuzione di alimenti, medicinali o acque pericolosi”, punito con sanzione pecuniaria da 300 a 600 quote oltre all’interdizione dall’esercizio dell’attività da 6 mesi a 1 anno, l’art. 440-ter c.p. (“Omesso ritiro di alimenti, medicinali o acque pericolosi”, punito con sanzione pecuniaria fino a 300 quote oltre all’interdizione dall’esercizio dell’attività fino a 6 mesi), l’art. 440-quater c.p. (“Informazioni commerciali ingannevoli o pericolose”, punito con sanzione pecuniaria fino a 300 quote oltre all’interdizione dall’esercizio dell’attività fino a 6 mesi), l’art. 440-quater c.p. (“Informazioni commerciali ingannevoli o pericolose”, punito con sanzione pecuniaria fino a 300 quote oltre all’interdizione dall’esercizio dell’attività fino a 6 mesi), il nuovo delitto ex art. 445-bis c.p. (“Disastro Sanitario” punito con sanzione pecuniaria da 400 a 800 quote oltre all’interdizione dall’esercizio dell’attività da 1 a 2 anni) e infine le ipotesi colpose di cui all’art. 452 c.p., punite con sanzione pecuniaria fino a 300 quote oltre all’interdizione dall’esercizio dell’attività fino a 6 mesi.

  1. Un “doppio binario” di responsabilità per le imprese alimentari: il Modello organizzativo “speciale”

Ciò che, tuttavia, risulta più meritevole di attenzione è l’introduzione di un vero e proprio “doppio binario” di responsabilità per le imprese alimentari. Gli enti della filiera agroalimentare potranno adottare un Modello organizzativo esimente che fin dalla relazione introduttiva al DDL è stato qualificato come “speciale”.

Il connotato di “specialità” trae origine dalla disciplina specifica (contenuta all’art. 6bis) che il Legislatore riserva ai Modelli Organizzativi adottati dalle imprese agroalimentari, che si caratterizza per l’individuazione degli obblighi giuridici nazionali e sovranazionali il cui adempimento deve essere assicurato dal Modello affinchè esso abbia efficacia esimente (o attenuante) della responsabilità, secondo la lettera della legge relativi:

  1. a) al rispetto dei requisiti relativi alla fornitura di informazioni sugli alimenti;
  2. b) alle attività di verifica sui contenuti delle comunicazioni pubblicitarie al fine di garantire la coerenza degli stessi rispetto alle caratteristiche del prodotto;
  3. c) alle attività di vigilanza con riferimento alla rintracciabilità, ossia alla possibilità di ricostruire e di seguire il percorso di un prodotto alimentare attraverso tutte le fasi della produzione, della trasformazione e della distribuzione;
  4. d) alle attività di controllo sui prodotti alimentari, finalizzate a garantire la qualità, la sicurezza e l’integrità dei prodotti e delle loro confezioni in tutte le fasi della filiera;
  5. e) alle procedure di ritiro o di richiamo dei prodotti alimentari importati, prodotti, trasformati, lavorati o distribuiti non conformi ai requisiti di sicurezza degli alimenti;
  6. f) alle attività di valutazione e di gestione del rischio, compiendo adeguate scelte di prevenzione e di controllo;
  7. g) alle periodiche verifiche sull’effettività e sull’adeguatezza del modello.

Al di là da quanto richiesto alle lettere f) e g), che fanno riferimento a elementi già tipicamente presenti nei Modelli 231 “tradizionali”, la portata innovativa della riforma risiede nell’introduzione di obblighi specifici di compliance rispetto ad un ventaglio di leggi speciali interne ed europee. Le normative cui fa implicitamente rinvio il nuovo art. 6bis attengono, da una parte, a obblighi a tutela dell’interesse dei consumatori (lett. a e b) e, dall’altra, a obblighi a protezione della genuinità e sicurezza degli alimenti (lett. c, d ed e). Quanto alla precisa identificazione delle stesse, occorre rilevare che in taluni casi si tratta di norme di ampia applicazione quali il Reg. (UE) n. 1169/2011 circa le pratiche leali di informazione, o il Reg. (CE) n. 178/2002 sulla rintracciabilità della filiera agroalimentare cui si aggiungono le normative specifiche di ciascun settore merceologico. 

Il DDL individua altresì, i requisiti minimi essenziali del Modello “speciale” e lo fa attingendo a piene mani dalla disciplina del Modello previsto dall’art. 30 D.Lgs. 81/08 (Testo Unico in materia di salute e sicurezza sui luoghi di lavoro).

Viene, infatti, previsto che i Modelli delle imprese agroalimentari debbano in ogni caso:

  1. a) prevedere idonei sistemi di registrazione dell’avvenuta effettuazione delle attività ivi prescritte;
  2. b) prevedere un’articolazione di funzioni che assicuri le competenze tecniche e i poteri necessari per la verifica, la valutazione, la gestione e il controllo del rischio, nonché un sistema disciplinare idoneo a sanzionare il mancato rispetto delle misure indicate nel modello;
  3. c) prevedere un idoneo sistema di vigilanza e di controllo sull’attuazione del modello e sul mantenimento nel tempo delle condizioni di idoneità delle misure adottate. Viene, inoltre, specificato che iI riesame e l’eventuale modifica del modello organizzativo devono essere adottati quando siano scoperte violazioni significative delle norme relative alla genuinità e alla sicurezza dei prodotti alimentari o alla lealtà commerciale nei confronti dei consumatori ovvero in occasione di mutamenti nell’organizzazione e nell’attività in relazione al progresso scientifico e tecnologico.

Come è evidente, si tratta di elementi che, sebbene solo in parte presenti nei requisiti del Modello ex art. 6 D. Lgs. 231/01 sono comunque già ampiamente previsti dalle best practices in ambito 231 perché in grado di coniugare gli obiettivi di risk management con quelli di miglioramento dell’organizzazione aziendale.

 

  1. Un “doppio binario” di responsabilità per le imprese alimentari: contorni applicativi

Il progetto di riforma contiene significative modifiche anche sotto il profilo dei soggetti attivi dell’illecito 231: il richiamo effettuato nell’incipit dell’art. 6bis, che fa rinvio al solo articolo 6 del D. Lgs. 231/01 – che regola l’esenzione da responsabilità dell’ente nel caso in cui il reato presupposto sia commesso da soggetto che riveste ruolo “apicale” – e non anche all’art. 7 – che regola l’esenzione da responsabilità dell’ente nel caso in cui il reato presupposto sia commesso da un “sottoposto” – sembra restringere l’ambito di azione del nuovo Modello ai soli reati commessi da soggetti che rivestono funzioni di rappresentanza, amministrazione o direzione. Le ragioni di tale limitazione non sono chiare. La scelta appare peraltro del tutto incoerente rispetto alla spinta estensiva della responsabilità amministrativa da reato che, grazie al DDL in parola viene estesa a nove nuove fattispecie incriminatrici cui si aggiungono le ulteriori fattispecie colpose indicate dall’art. 452 c.p. (per inciso, le prime fattispecie colpose ad essere introdotte a seguito di quelle in materia di salute e sicurezza sul lavoro di cui all’art. 25septies D. Lgs. 231/01). 

Ulteriore elemento che merita considerazione (soprattutto in un’ottica di efficace gestione del rischio penale d’impresa), è che la riforma affianca all’efficacia esimente del Modello speciale una inedita efficacia “attenuante”. Il contenuto e la portata di tale attenuante (nonché i contorni applicativi rispetto all’efficacia esimente ed alla riduzione della sanzione pecuniaria in caso di adozione del Modello post factum) non sono meglio definiti dal Legislatore e pertanto saranno la prassi e la giurisprudenza a connotarle di significato.

Altra innovazione di significativa portata è quella prevista dal comma 3, il quale prevede che nelle PMI l’Organismo di Vigilanza possa essere monocratico “purchè dotato di adeguata professionalità e specifica competenza anche nel settore alimentare e individuato da un apposito elenco approntato dalle Camere di Commercio: il che costituisce un elemento di novità rispetto al passato, in quanto la professionalità dei membri degli OdV non era mai stata specificamente individuata.

  1. Ulteriori novità della riforma: la delega di funzioni in materia agroalimentare

Il progetto di riforma in commento si prefigge anche l’apprezzabile obiettivo di disciplinare la delega di funzioni in materia agroalimentare.

Per quel che interessa in questa sede, si rivolge l’attenzione alle condizioni di ammissibilità della delega delineate dall’art. 1bis che verrà introdotto nella L. 283/1962, per le quali il Legislatore sembra attingere a piene mani da quanto prescritto dall’art. 16 D.Lgs. 81/08 (regolante la delega di funzioni in materia di salute e sicurezza sul lavoro).

In particolare, la delega di funzioni del titolare dell’impresa alimentare, per essere idonea a trasferire poteri ma soprattutto (per quel che interessa alla materia penale) responsabilità, dovrà:

  1. a) risultare da atto scritto avente data certa;
  2. b) individuare un delegato dotato di requisiti di professionalità ed esperienza adeguati per le funzioni delegate;
  3. c) attribuire, insieme alla responsabilità, poteri organizzativi e gestori;
  4. d) garantire al delegato autonomia di spesa per lo svolgimento della delega;
  5. e) essere accettata per iscritto dal delegato.

E’ noto come la delega di funzioni costituisca uno strumento importante non solo dal punto di vista dell’ottimizzazione organizzativa dell’attività di impresa, bensì anche dal punto di vista della tutela da responsabilità penale “da posizione”: in tale contesto, le condizioni di ammissibilità della delega individuate dalla riforma, sebbene non circostanziate, assumono significativa rilevanza (se sapientemente adattate alle peculiarità strutturali dell’impresa) poiché forniscono i criteri orientativi per formalizzare una delega efficace.

Inoltre, pare opportuno evidenziare la correlazione stabilita tra la delega di funzioni e il Modello organizzativo: il Legislatore, dopo aver ribadito il consolidato principio per cui “la delega di funzioni non esclude l’obbligo di vigilanza a carico del titolare in ordine al corretto svolgimento delle funzioni trasferite da parte del delegato”, chiarisce che “l’obbligo di cui al primo periodo si intende assolto in caso di adozione ed efficace attuazione del modello di organizzazione e gestione ai sensi dell’articolo 6-bis del decreto legislativo 8 giugno 2001, n. 231.”: dunque, la predisposizione di una buona organizzazione sembra spiegare effetti positivi anche con riguardo all’efficacia della delega di funzioni.

  1. Conclusioni

La riforma dei reati agroalimentari si presenta come una vera e propria rivoluzione copernicana per le imprese del settore, e non vi è dubbio che l’intervento del Legislatore ponga a carico di tali soggetti economici oneri significativi dal punto di vista dell’adeguamento normativo. Allo stesso tempo, tuttavia, è essenziale saper cogliere gli spunti offerti dalla riforma anche, se necessario, rimettendo mano all’organizzazione dell’impresa per giungere ad una piena integrazione della compliance e convertire così gli sforzi profusi in un vantaggio competitivo e reputazionale.

 

Alberto Bernardi

Avvocato del Foro di Bologna